L’invasione di dispositivi smart nelle nostre case si fa sempre più concreta ogni giorno. Una lampadina in offerta di là, un sensore di qua, una telecamera su quell’altro sito e piano piano la nostra casa ha iniziato a diventare un po’ più smart. Passata un po’ l’euforia dell’acquisto, ci si rende conto che accendere una lampadina con la voce non porta chissà che cambiamenti nella routine quotidiana. Quindi la domotica è molto affascinante ma siamo sicuri sia realmente utile in questo modo? La mia risposta è no; il problema sta nell’approccio dei singoli ecosistemi, vale a dire le varie app per controllare ogni dispositivo, che non comunicando tra di loro non permettono di ottenere il massimo dalle loro funzionalità.
Tante, troppe app
Ogni dispositivo smart ha la sua specifica app, che gli consente di controllare specifiche azioni e di “dialogare” con altri dispositivi dello stesso produttore. Alcuni esempi banali possono essere le scene relative alle luci oppure i timer delle prese smart, o piccole automazioni. Ci sono tanti ecosistemi, come ad esempio Philips Hue, Ikea Tradfri, Yeelight, Mi Home, Google Home, Tuya e Smart Life, alcuni più funzionali altri un po’ meno, però non sono intercomunicanti tra di loro. Bisogna quindi superare questo scoglio, creando una sorta di piccolo “cervello” della casa che possa comunicare con tutti i dispositivi e farli interagire semplicemente tra di loro, senza bisogno di internet o di spese eccessive.
La soluzione è HA
Uno dei prodotti più in voga al momento è Home Assistant. Si tratta di una interfaccia open source che installata su un computer domestico, permette di dialogare con una quantità vastissima di prodotti e di sfruttare tutte le loro potenzialità intrecciandole tra loro; più praticamente, permette di avere una interfaccia web personalizzata dove controllare tutti i dispositivi e di gestire scene, automazioni, script e tanto altro. Immagina quindi di avere dei sensori della Xiaomi che a seconda della temperatura regolino il termostato Tado, oppure le lampadine Philips dell’ingresso che si accendono a seguito di un movimento individuato da un sensore Ikea; o ancora, chiedo a Google Home di far partire un film sulla Chromecast in TV e regola le luci in modalità film; o semplicemente anche impostare scene per le luci di ecosistemi diversi senza dover aprire un’app dietro l’altra.
Come si installa?
In sostanza è necessario predisporre un piccolo server domestico. La soluzione ideale, in termici economici, è sfruttare un Rasperry Pi, microcomputer dalle dimensioni di una carta di credito, dal costo inferiore ai 30€; i vantaggi rispetto ad usare un computer vero e proprio sono a livello di consumi, poiché esso è molto poco energivoro e può liberamente restare acceso giorno e notte senza gravare sulla bolletta. Per chi invece ha esigenze differenti, Home Assistant è possibile installarlo in qualsiasi dispositivo supportante una distro Linux; per cui si può riutilizzare anche un vecchio portatile, un NAS o altro ancora, limitato solo dalla nostra fantasia.
Il gioco vale la candela
Senza alcun dubbio. Dotare la propria casa di un cervello, di un server dedicato, permette di ampliare notevolmente i campi di utilizzo in maniera esponenziale. Essendo una soluzione un po’ per smanettoni, è necessario perderci del tempo, ma i risultati ripagano enormemente poiché donano un senso ai dispositivi smart presenti in casa. Se prima una lampadina smart poteva sembrare utile solo per l’effetto wow, dopo ciò diventare capace di reagire automaticamente ai contesti, al mood, alle interazioni in casa. L’esperienza d’uso cambia radicalmente in quello che in passato poteva sembrare la casa del futuro, che però a fronte di una spesa non stratosferica è possibile averla ora, nel presente.
(Pubblicato originariamente su gcsworld nel 2019)